“Sulla natura giuridica del canone concessorio di bene pubblico” – Consiglio di Stato – sez. VII – sentenza del 5 gennaio 2024 – n. 215

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Il provvedimento di concessione di un bene pubblico (demaniale o patrimoniale indisponibile) esprime il rapporto tra l’interesse privato allo sfruttamento delle utilità economiche offerte dal bene e l’interesse pubblico costitutivo del carattere demaniale o patrimoniale indisponibile del bene.

Il soddisfacimento di finalità pubblicistiche costituisce un elemento imprescindibile della concessione di beni pubblici, al punto da costituirne scopo e ragione essenziale, deponendo chiaramente in tal senso l’art. 37 cod. nav., laddove, in presenza di più richieste di concessione, rimette al discrezionale giudizio dell’Amministrazione la valutazione in ordine alla migliore rispondenza di un certo utilizzo anziché di un altro rispetto ad un più rilevante interesse pubblico, sottintendendo un complesso bilanciamento di molteplici profili di rilievo che si colgono, da un lato, con riguardo al vantaggio conseguito dalla collettività in ragione delle finalità pubbliche per il soddisfacimento delle quali il bene è concesso in uso ad altri e, dall’altro, in relazione al nocumento patito dalla medesima collettività a causa della temporanea sottrazione del bene all’uso libero e generalizzato cui è naturalmente o potrebbe essere destinato. Più precisamente, la concessione di beni demaniali è contraddistinta da una duplice finalità di rilevanza causale ed ossia: da un lato, il vantaggio personale ritraibile per il concessionario dall’uso esclusivo del bene e, dall’altro, il necessario soddisfacimento degli interessi pubblici perseguiti dall’Autorità amministrativa concedente all’esito della predetta complessa valutazione di bilanciamento, non essendo possibile il rilascio di una concessione unicamente preordinata a soddisfare le esigenze personali del concessionario a discapito e, quindi, senza il soddisfacimento, di qualsivoglia pubblico interesse.

Il canone assolve ad una funzione sia corrispettiva del vantaggio scaturente dal diritto di uso esclusivo del bene demaniale, sia compensativa del nocumento patito dall’interesse pubblico soddisfatto dal non più consentito o limitato originario diritto di uso collettivo del bene medesimo.

Il canone concessorio è una «prestazione imposta» ai sensi dell’art. 23 Cost. che non ha tuttavia natura tributaria né può essere considerato come un mero canone locatizio poiché alla sua struttura e quantificazione concorre la specifica destinazione all’interesse pubblico impressa al bene demaniale. Tale destinazione impone che la determinazione del canone sia la più idonea al perseguimento dei fini di interesse pubblico che si ritengono meritevoli di soddisfazione.

I canoni demaniali marittimi non hanno natura tributaria, ma sono corrispettivi dell’uso di un bene di proprietà dello Stato e costituiscono quindi un prezzo pubblico calcolato in base a criteri stabiliti dalla legge, onde ad essi non si applica l’art. 53 Cost. 

 

Pubblicato il 05/01/2024

00215/2024REG.PROV.COLL.

08644/2022 REG.RIC.

 

SENTENZA

 

sul ricorso numero di registro generale 8644 del 2022, proposto da
– OMISSIS -, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Carlo Lenzetti, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia

contro

– OMISSIS -, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Giuseppe Morbidelli, Roberto Righi, Ernesto Stajano, Elena Orsetta Querci, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12

nei confronti

– OMISSIS -, non costituito in giudizio

e con l’intervento di

ad adiuvandum:

– OMISSIS -, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Gianluigi Bizioli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Seconda) n. 938/2022

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di – OMISSIS -;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 12 dicembre 2023 il Cons. Rosaria Maria Castorina e uditi per le parti gli avvocati Emanuela Paoletti per delega dell’avvocato Carlo Lenzetti, Roberto Righi e Gianluigi Bizioli;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

 

Con l’originario ricorso notificato in data 21 giugno 2021 la Società – OMISSIS -, operatore terminalista autorizzato dall’Autorità di Sistema Portuale del Mar Tirreno Settentrionale, premesso di utilizzare in regime di concessione demaniale marittima una banchina del porto di Livorno in forza della licenza n. 80/2018 e segnatamente una banchina ed uno specchio acqueo corrispondenti al c.d. Accosto 24 sul canale industriale del Porto di Livorno, oltre ad aree scoperte di minore rilevanza superficiaria ubicate sulla Via Galvani e sulla Via Leonardo da Vinci, il tutto per mq 23.396 di superficie demaniale e che, retrostante la banchina si trova un’area, esterna al perimetro del demanio portuale, di proprietà della stessa Sintermar retrostante l’accosto 24 per circa 130.000 mq., che viene utilizzata, insieme a quella demaniale oggetto della concessione citata per il mantenimento del compendio terminalistico funzionale alle suddette attività, impugnava il provvedimento del Segretario Generale dell’Autorità di Sistema Portuale del Mar Tirreno Settentrionale (d’ora in poi, AdSPMTS) n. 69 del 13 aprile 2021, con il quale era stato rideterminato il canone demaniale per la conduzione dell’area di cui alla licenza demaniale marittima n. 80/2018, con una innovativa tariffa maggiorativa per banchina asservita ad area privata in complessivi euro 105.733,040 (188,809 € x 560 ml), come previsto dall’allegato “L” del suddetto regolamento.

Con ricorso per motivi aggiunti, notificato e depositato il 21 settembre 2021, venivano reiterate le censure di cui ai motivi primo, secondo e terzo del ricorso principale che a dire della ricorrente sarebbero confermate dall’esame degli atti prodromici del Regolamento impugnato, ottenuti in copia grazie all’esercizio del diritto di accesso.

La maggiorazione era stabilita sulla base del “Regolamento per l’esercizio delle operazioni e dei servizi portuali, per l’amministrazione delle aree demaniali e patrimoniali, nonché per fornitura di lavoro temporaneo nei porti dell’AdSPMTS”, adottato con decreto del Presidente della AdSPMTS n. 2 del 4 gennaio 2021, pure impugnato nella parte di interesse.

Il TAR per la Toscana accoglieva il ricorso sul rilievo che a maggiorazione del canone trovava causa nell’incremento del profitto che il concessionario consegue dall’uso cui la stessa è adibita e che non rappresentava più il corrispettivo del valore dell’area concessa ma finiva col colpire una manifestazione di (incremento di) profitto del concessionario, ovvero una manifestazione di ricchezza; tale circostanza imponeva di qualificare la maggiorazione come “tributo” adottato da un soggetto, l’Autorità, privo di competenza tributaria e in assenza di una norma che lo consentisse, con violazione del principio della riserva di legge in materia.

Appellata ritualmente la sentenza resistono Sintemar e il Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti. Nel corso del giudizio di appello spiegava intervento ad adiuvandum – OMISSIS -.

All’udienza del 12 dicembre 2023 la causa passava in decisione.

 

DIRITTO

 

1. Con il motivo di appello l’appellante deduce l’errata qualificazione della “maggiorazione” come tributo e non come canone.

Evidenzia che la questione dirimente (in merito alla quale il giudice di prime cure è pervenuto ad una conclusione errata e non condivisibile) è quella della natura giuridica del canone per operazioni portuali come determinato ai sensi della Tariffa A) del Regolamento 2021 e, in particolare, se esso abbia natura (di entrata) tributaria (come erroneamente ritenuto dal TAR) ovvero extratributaria.

La censura è fondata.

1.1. Il provvedimento di concessione di un bene pubblico (demaniale o patrimoniale indisponibile) esprime il rapporto tra l’interesse privato allo sfruttamento delle utilità economiche offerte dal bene e l’interesse pubblico costitutivo del carattere demaniale o patrimoniale indisponibile del bene.

Il soddisfacimento di finalità pubblicistiche costituisce un elemento imprescindibile della concessione di beni pubblici, al punto da costituirne scopo e ragione essenziale, deponendo chiaramente in tal senso l’art. 37 cod. nav., laddove, in presenza di più richieste di concessione, rimette al discrezionale giudizio dell’Amministrazione la valutazione in ordine alla migliore rispondenza di un certo utilizzo anziché di un altro rispetto ad un più rilevante interesse pubblico, sottintendendo un complesso bilanciamento di molteplici profili di rilievo che si colgono, da un lato, con riguardo al vantaggio conseguito dalla collettività in ragione delle finalità pubbliche per il soddisfacimento delle quali il bene è concesso in uso ad altri e, dall’altro, in relazione al nocumento patito dalla medesima collettività a causa della temporanea sottrazione del bene all’uso libero e generalizzato cui è naturalmente o potrebbe essere destinato. Più precisamente, la concessione di beni demaniali è contraddistinta da una duplice finalità di rilevanza causale ed ossia: da un lato, il vantaggio personale ritraibile per il concessionario dall’uso esclusivo del bene e, dall’altro, il necessario soddisfacimento degli interessi pubblici perseguiti dall’Autorità amministrativa concedente all’esito della predetta complessa valutazione di bilanciamento, non essendo possibile il rilascio di una concessione unicamente preordinata a soddisfare le esigenze personali del concessionario a discapito e, quindi, senza il soddisfacimento, di qualsivoglia pubblico interesse.

Il canone assolve ad una funzione sia corrispettiva del vantaggio scaturente dal diritto di uso esclusivo del bene demaniale, sia compensativa del nocumento patito dall’interesse pubblico soddisfatto dal non più consentito o limitato originario diritto di uso collettivo del bene medesimo.

1.2. In passato si è molto discusso sulla natura giuridica di corrispettivo pecuniario o di tributo del canone per l’uso di beni demaniali dati in concessione. Le diverse tesi elaborate in dottrina muovevano dalla differente concezione della demanialità e dunque del ruolo svolto dall’ente concedente.

Tra queste prevalse originariamente la configurazione tributaria del canone concessorio (Cass. S.U. 1395/1968). La Corte di Cassazione, poi, ha mutato completamente avviso ed ha consolidato l’affermazione della natura di corrispettivo del canone di utenza, escludendone il carattere tributario (Cass., sez. U., 29 maggio 1969, 1893 -1898; Cass. Civ., Sez. I, 25 maggio 1979 n. 3029).

La Corte costituzionale ha avvalorato tale interpretazione, confermando che «i canoni demaniali marittimi non hanno natura tributaria, ma sono corrispettivi dell’uso di un bene di proprietà dello Stato e costituiscono quindi un prezzo pubblico calcolato in base a criteri stabiliti dalla legge», onde ad essi non si applica l’art. 53 Cost. (così: Corte cost., sent. 29 del 2017).

1.3. Il canone concessorio è una «prestazione imposta» ai sensi dell’art. 23 Cost. che non ha tuttavia natura tributaria né può essere considerato come un mero canone locatizio poiché alla sua struttura e quantificazione concorre la specifica destinazione all’interesse pubblico impressa al bene demaniale. Tale destinazione impone che la determinazione del canone sia la più idonea al perseguimento dei fini di interesse pubblico che si ritengono meritevoli di soddisfazione.

La giurisprudenza costituzionale aveva originariamente fatto riferimento solo alla natura autoritativa dell’atto che costituisce la prestazione (Corte Cost. n. 4, 30, 47, 122 del 1957; n. 36 del 1959; n. 51 e 70 del 1960; n. 65 del 1962; n. 55 del 1963), successivamente ravvisando la natura di prestazione imposta anche nelle ipotesi in cui la prestazione stessa, pur nascendo da un contratto privatistico volontariamente stipulato dall’utente col titolare del bene o del servizio, e quindi dando luogo ad un rapporto negoziale di diritto privato, si riferisca ad un “servizio che, in considerazione della sua particolare rilevanza, venga riservato alla mano pubblica e l’uso di esso sia da considerare essenziale ai bisogni della vita”, sicché “il cittadino è libero di stipulare o non stipulare il contratto, ma questa libertà si riduce alla possibilità di scegliere fra la rinunzia al soddisfacimento di un bisogno essenziale e l’accettazione di condizioni e di obblighi unilateralmente e autoritativamente prefissati” (Corte Cost. n. 72 del 1969 in tema di tariffe del servizio telefonico; Id. n. 127 del 1988 sul “diritto di approdo”; Id. n. 122 del 1957 sui canoni per la derivazione dai bacini imbriferi montani; Id. n. 36 del 1959 per le pubbliche affissioni; Id. n. 70 del 1960 per lo sconto obbligatorio sui prezzi dei medicinali; Id. n. 2 del 1962 per l’occupazione di suolo pubblico; Id. n. 55 del 1963 per i contributi ad un consorzio di bonifica).

1.4. La nozione di tributo è comprensiva di imposte e di tasse: le imposte afferiscono a fatti che manifestano la capacità contributiva del soggetto e sono dirette ad approntare i mezzi finanziari per il perseguimento dei fini generali dello Stato o di altri enti impositori; le tasse sono invece legate al finanziamento, in particolare, di un’attività o di un servizio pubblico e riguardano specificamente il contribuente, potenziale o effettivo fruitore dello stesso.

In questo ambito, le tasse costituiscono, come sottolineato dalla dottrina, fattispecie di confine tra le imposte e le entrate patrimoniali extratributarie.

Alla luce dei generali principi sopra richiamati, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 25551 del 23 ottobre 2007 hanno statuito quanto segue: “Deve quindi distinguersi tra tassa, da una parte, che condivide la natura tributaria delle imposte, e, dall’altra, canoni (o tariffe o diritti speciali) e prezzi pubblici, che rientrano nella categoria delle entrate patrimoniali pubbliche extratributarie; distinzione questa che si racchiude in una qualificazione formale prima ancora che contenutistica. E’ il legislatore che assegna ad una determinata prestazione del soggetto che fruisce il servizio la qualificazione di tassa, e così la assoggetta al regime dei “tributi”, ovvero di canone o prezzo pubblico; e costruisce alternativamente il nesso tra entrata pubblica ed erogazione del servizio vuoi in termini di para commutatività (tassa), vuoi di commutatività o di vera e propria sinallagmaticità (entrate pubbliche extratributarie); come risultava, ad esempio, dal raffronto tra canone demaniale e tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche la cui sottile linea di demarcazione, in presenza di due fattispecie aventi chiaramente un comune sostrato economico, correva lungo il tracciato della diversa costruzione normativa (i.e.: qualificazione formale)”.

Quindi una tassa è tale innanzitutto ove questa qualificazione sia espressamente assegnata dal legislatore ad un’entrata pubblica.

Ove non risulti siffatta qualificazione deve ritenersi che il legislatore, nell’esercizio della sua discrezionalità, abbia optato per un diverso modulo di copertura finanziaria dei costi del servizio pubblico (quello a mezzo delle entrate extratributarie), a meno che non emergano elementi univoci e convergenti delle caratteristiche concrete del nesso tra la prestazione del servizio pubblico e l’obbligazione pecuniaria posta a carico del fruitore del servizio stesso sì da ricondurre un’entrata pubblica, in ragione appunto delle sue marcate caratteristiche sostanziali, nell’alveo di quelle di natura tributaria piuttosto che tra quelle di natura extratributaria, pur in mancanza di un’espressa qualificazione normativa.

1.5. Nella specie, la maggiorazione della tariffa assume quale mero presupposto di fatto la proprietà privata, che resta un elemento estraneo alla debenza del canone. È solo l’area demaniale concessa in uso esclusivo che acquisisce un maggior valore, risultando maggiormente sfruttabile e più facilmente utilizzabile, in conseguenza della sua contiguità con altra area di proprietà dello stesso soggetto concessionario.

Ha quindi errato il Giudice a ritenere che la maggiorazione del canone sia qualificabile come tributo.

Occorre pertanto, esaminare i motivi assorbiti dal primo giudice, riproposti per l’effetto devolutivo dell’appello.

2. Con il primo dei motivi assorbiti la ricorrente deduceva: Violazione e falsa applicazione degli artt. 8, 9, 13 e 18 della l. 28 gennaio 1994 n. 84. Eccesso di potere per incompetenza.

Deduceva l’illegittimità del Regolamento impugnato e dei suoi atti applicativi in quanto conseguenti per incompetenza del Presidente all’adozione di esso, quantomeno in parte qua ossia negli allegati (ed in specie nell’all. L.) dove vengono definite le tariffe applicabili alle varie tipologie di canone demaniale.

Il motivo non è fondato.

L’art. 8 comma 2, I periodo, della legge 28 gennaio 1994, n. 84, recante il riordino della legislazione in materia portuale, recita testualmente: “Il Presidente ha la rappresentanza legale dell’Autorità di sistema portuale, resta in carica quattro anni e può essere riconfermato una sola volta. Al Presidente sono attribuiti i poteri di ordinaria e straordinaria amministrazione. Al Presidente spetta la gestione delle risorse finanziarie in attuazione del piano di cui all’articolo 9, comma 5, lettera b)”.

In particolare, ai sensi del successivo comma 3 della suddetta disposizione il Presidente, tra le altre funzioni, “[…] f) dispone con propria delibera, sentito il Comitato di gestione, in merito alle concessioni di cui all’articolo 6, comma 10; […] m) amministra le aree e i beni del demanio marittimo, ricadenti nella circoscrizione territoriale di competenza, sulla base delle disposizioni di legge in materia, esercitando, sentito il Comitato di gestione, le attribuzioni stabilite negli articoli da 36 a 55 e 68 del codice della navigazione e nelle relative norme di attuazione; m-bis) insedia e convoca l’Organismo di partenariato della risorsa mare, dopo averne nominato i componenti designati ai sensi dell’articolo 11-bis; n) esercita, sentito il Comitato di gestione, le competenze attribuite all’Autorità di sistema portuale dagli articoli 16, 17 e 18 nel rispetto delle disposizioni contenute nei decreti del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti di cui, rispettivamente, all’articolo 16, comma 4, e all’articolo 18, commi 1 e 3; nonché nel rispetto delle deliberazioni della Autorità di regolazione dei trasporti per gli aspetti di competenza; […] r) esercita ogni altra competenza che non sia attribuita dalla presente legge agli altri organi dell’Autorità di sistema portuale […]”.

Ai sensi del combinato disposto dell’art. 4, lett. b) e c), dell’art. 6 comma 10 e dell’art. 8 comma 3 della L. n. 84/1994 il Presidente dell’Autorità di Sistema Portuale è, quindi, competente a deliberare sia in merito all’esecuzione delle attività di manutenzione ordinaria e straordinaria delle parti comuni nell’ambito portuale, che in relazione all’affidamento e al controllo delle attività dirette alla fornitura a titolo oneroso agli utenti portuali di servizi di interesse generale.

Il Collegio pertanto ritiene evidente, ovvero testuale, che, oltre a funzioni di indirizzo politico, il Presidente dell’Autorità di Sistema Portuale del Mare di Sardegna ha competenza anche in merito all’adozione di atti di amministrazione e di gestione ordinaria e straordinaria, Tra questi rientra l’atto adottato.

Osserva il Collegio che con la sentenza Haralambidis (C-270/13 del 10 settembre 2014) la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha incidentalmente analizzato la natura dell’attività esercitata dal Presidente dell’Autorità di Sistema Portuale ai fini della risoluzione del quesito oggetto di rinvio da parte di questo Consiglio di Stato relativo alla verifica della compatibilità con il diritto europeo dell’esclusione di un cittadino di un altro Stato Membro dalla carica di Presidente dell’Autorità di Sistema Portuale.

In tale sede la Corte di Giustizia UE ha riscontrato la natura prevalentemente amministrativa delle attribuzioni del Presidente delle Autorità di Sistema Portuale, evidenziando, con riferimento agli specifici compiti di rilascio di autorizzazioni e concessioni previsti all’art. 8 comma 3 della L. n. 84/1994, che – il Presidente si limita all’adozione di meri “atti di gestione che obbediscono a considerazioni di natura principalmente economica” (CGUE, sentenza C-270/2013, 10 settembre 2013, par. 53).

Più in generale, la Corte Europea ha concluso che l’attività del Presidente “presenta in generale un carattere tecnico e di gestione economica” e che tale natura non è modificata dall’attribuzione di taluni poteri d’imperio in capo alla medesima Autorità, il cui esercizio, peraltro, è consentito in maniera del tutto occasionale, ovvero unicamente in circostanza eccezionali (CGUE, sentenza C-270/2013, 10 settembre 2013, par. 60). Detta decisione, pur riguardante l’ambito specifico di quel giudizio, esprime il fondamento logico maturato dai Giudici Europei secondo il quale il Presidente della Autorità Portuale è anche titolare di poteri amministrativi diretti, ovvero monocratici.

Nella specie, peraltro, come risulta dai verbali e dai documenti versati in atti, il Regolamento è stato adottato dal Presidente dopo aver sentito le Commissioni consultive locali del Porto di Livorno, del Porto di Piombino e del Porto di Portoferraio (seduta del 9 dicembre 2020), l’Organismo di Partenariato della risorsa mare (riunione del 10 dicembre 2020) ed il Comitato di gestione.

3. Con l’originario terzo motivo di ricorso la ricorrente deduceva la violazione dei principi desumibili dall’art. 1 della legge 7 agosto 1990 n. 241. Violazione del 52° Considerando e dell’art. 15 del regolamento UE n. 352/2017; Eccesso di potere per violazione del giusto procedimento.

Lamenta che l’intero procedimento tariffario si era svolto a completa insaputa della ricorrente e delle associazioni imprenditoriali coinvolte, in apparente applicazione dell’art. 13 della l. 241/1990. Al contrario in materia, l’obbligo della partecipazione procedimentale degli “utenti del porto e delle altre parti interessate” è imposto dal 52° Considerando e dall’art. 15 del Regolamento UE 352/2017, la cui applicazione non poteva essere elusa.

La censura non è fondata.

Risulta dalla documentazione, dai verbali e dalla relazione istruttoria finale che il procedimento amministrativo sfociato nell’adozione del nuovo Regolamento è durato diversi anni, si è sviluppato in una serie di riunioni e di un tavolo tecnico appositamente istituito. Alla redazione del Regolamento hanno preso parte le Commissioni consultive locali dei porti interessati (Livorno, Piombino e Portoferraio), l’Organismo di partenariato della risorsa mare, il Comitato di gestione, associazioni di categoria (Assiterminal, Asamar, Spedimar, Confindustria), gli operatori portuali, le organizzazioni sindacali, nonché i rappresentati delle associazioni degli agenti e degli spedizionieri, sicché le garanzie partecipative sono state assicurate.

4. Con l’originario quarto motivo del ricorso la ricorrente deduce, con riferimento al provvedimento del segretario generale n. 69/2021 e all’ingiunzione del dirigente del 22 aprile 2021, la violazione e falsa applicazione dei principi ricavabili dall’art. dall’art. 39 del r.d. 30 marzo 1942 n. 327. Violazione e falsa applicazione dei principi ricavabili dagli artt. 13 e 18 della legge 28 gennaio 1994 n. 84. Violazione art. 11 preleggi. Violazione e falsa applicazione dell’art. 78 del regolamento per l’esercizio delle operazioni e dei 13 servizi portuali, per l’amministrazione delle aree demaniali e patrimoniali, nonché per la fornitura del lavoro temporaneo nei porti dell’AdSPMTS adottato con provvedimento del presidente n. 2/2021.

Lamenta che l’art. 78 del Regolamento 2021 non consentirebbe l’applicabilità dei nuovi (ed impugnati) parametri di calcolo del canone alle concessioni ed ai rapporti in essere alla data della sua entrata in vigore.

5. Con il quinto motivo del ricorso la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dei principi ricavabili dall’art. dall’art. 39 del r.d. 30 marzo 1942 n. 327. Violazione e falsa applicazione dei principi ricavabili dagli artt. 13 e 18 della legge 28 gennaio 1994 n. 84. Nullità in parte qua dell’art. 2 della concessione n. 80/2018 per contrasto con gli artt. 1346 e 1418 cod. civ.

Evidenzia che l’art. 78 cit. dovrebbe interpretarsi secundum legitimitatem in modo da disconoscere che in esso sia prevista una clausola che consentirebbe la modifica delle nuove tariffe ai rapporti concessori in essere, con particolare riferimento all’innovativa maggiorazione per banchine asservite ad aree private di cui all’all. L lett. A2. Ma laddove non si intenda condividere la prospettazione interpretativa della ricorrente, ne conseguirebbe in maniera più radicale l’illegittimità di tale disposizione regolamentare per contrasto con il principio direttamente derivante dagli artt. 39 cod. nav. e 18 l. 84/1994 per i quali, rispettivamente, “la misura del canone è determinata dall’atto di concessione” e “le concessioni sono affidate previa determinazione dei canoni”.

Le censure, suscettibili di trattazione congiunta, non sono fondate.

È espressamente previsto, all’art. 2 della concessione demaniale n. 80/2018, la possibilità per l’AdSPMTS di rivedere i canoni in corso di vigenza della concessione. Si legge in particolare: … Il canone dovuti è da considerarsi sempre e comunque salvo conguaglio, in particolare in relazione: alle superfici effettivamente concesse, nonché alle eventuali variazioni dei coefficienti e delle maggiorazioni di cui all’art. 7 tariffa A) del regolamento d’usi delle aree demaniali marittime….

L’art. 2 della concessione – OMISSIS – n.80/2018 ha, quindi statuito l’obbligo del concessionario di corrispondere le eventuali differenze di canoni derivanti dall’applicazione di future disposizioni legislative e regolamentari che fossero intervenute nel corso della vigenza della concessione.

Come si evince dalla parte finale della concessione n. 80/2018, inoltre, l’impegno disposto dal citato art. 2 è stato richiamato e sottoscritto dal concessionario anche separatamente, come previsto per le clausole vessatorie dall’art. 1341, comma 2, c.c.

L’appello deve essere, pertanto accolto e la sentenza riformata.

In considerazione della novità della questione trattata, le spese processuali dell’intero giudizio devono essere compensate.

 

P.Q.M.

 

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Settima), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, in riforma della sentenza appellata respinge l’originario ricorso.

Spese del doppio grado compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 dicembre 2023 con l’intervento dei magistrati:

Claudio Contessa, Presidente

Marco Morgantini, Consigliere

Rosaria Maria Castorina, Consigliere, Estensore

Marco Valentini, Consigliere

Brunella Bruno, Consigliere