Un primo commento al Bonus réparation textile: attuazione della Legge antispreco (L. n° 105/2020), punti di forza e criticità, applicabilità nell’ordinamento italiano tra Stato ed Enti di Area vasta a cura di A.Ricci

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a cura Alessandro Ricci

 

La Francia è al centro del dibattito giuridico ed economico negli ultimi anni per una massiccia politica di concessione di bonus con gli esperti divisi tra chi sostiene l’indirizzamento governativo verso consumi che si rivelano orientati al sostegno sociale e all’ambiente e detrattori che osservano un uso populistico e poco ragionevole della finanza pubblica, con il risultato di non stimolare l’economia, ma anzi attuare una politica assistenzialistica e improduttiva (qualcuno ha parlato di bonus come “flebo” sociale).

Recentemente il settore interessato è quello del tessile: Bérangère Couillard, Segretario di Stato per la transizione ecologica, ha annunciato nell’estate in corso il “Bonus riparazione”; sono infatti circa 700.000 le tonnellate di vestiti, altamente inquinanti, che finiscono nelle discariche ogni anno nel Paese transalpino.

Parigi ha annunciato l’attuazione di un sistema di bonus per la riparazione di articoli tessili a partire dal mese di ottobre con rimborsi fino a 25 euro per i cittadini che provvedono alla riparazione di vestiti e calzature in coerenza con la normativa sul rispetto dell’ambiente e l’economia circolare (Legge n. 2020-105 del 10 febbraio 2020 sulla lotta ai rifiuti e l’economia circolare, articolo L.541-10-1 del codice ambientale).

Accanto alla misura a favore dell’ambiente si pensa di poter creare occupazione nel settore della riparazione e salvaguardare gli antichi mestieri del calzolaio e del sarto/rammendatore, altamente colpiti dal consumismo degli ultimi decenni.

Il bonus in discorso è una misura seria per promuovere un’economia più circolare e sostenibile, ma andrebbe migliorato prima di essere “innestato” in altri sistemi, come quello italiano. Considerata l’attuale fase economica che attraversa il Paese e il discutibile successo dei bonus dei precedenti governi, si potrebbe ragionevolmente pensare di sfruttare la misura introdotta in Francia con dei correttivi: finanziare i bonus soltanto con l’intervento degli enti di area vasta, in compartecipazione con il contributo governativo, per non gravare troppo sulla finanza dello Stato; i predetti enti territoriali essendo rimasti con poche competenze, avrebbero mezzi e personale per gestire gli elenchi dei professionisti aderenti all’iniziativa, senza creare una società ad hoc, come in Francia, o affaticare strutture burocratiche nazionali già abbondantemente oberate dal massiccio ricorso ai bonus postpandemici.

Le Città metropolitane e le Province avrebbero la dimensione ottimale e la competenza per tenere detti elenchi, senza dover costruire un’altra piattaforma informatica nazionale con quel che ne comporta anche a livello di controllo delle liste, aggiornamento e manutenzione delle stesse, mentre per gli artigiani il bonus verrebbe riscosso sottraendolo alle tasse, così da semplificare tutta la catena.

Infine, vista la buona qualità dei prodotti di vestiario italiani è intuibile che un bonus del genere nel nostro Paese sarebbe più appropriato che altrove: oltre a una minore produzione di acque reflue piene di inquinanti, smaltite a volte senza i dovuti controlli, di emissioni di gas serra e di dispersione di microplastiche, si porrebbe argine alla cosiddetta fast fahion, moda “usa e getta” di prodotti stranieri di scarsa qualità (con casi di sfruttamento di lavoratori anche minorenni nei Paesi in via di sviluppo).