Commento all’ordinanza del Tribunale di Roma del 9 settembre 2022 n. 39385
a cura dell’ avv. Diotima Pagano
Redazione di IURA NOVIT CURIA ©
Ha destato un intenso interesse mediato l’ordinanza del Tribunale di Roma inerente alla richiesta di due madri al rilascio della C.I.E. (carta d’identità elettronica) in favore della loro figlia minore con la dicitura “genitore” per entrambe, in luogo di quella prevista di “padre” e “madre”.
Il provvedimento del Tribunale si diffonde sulla ormai superata esaustività del lessico codicistico ove si limitano espressamente i ruoli genitoriali alla differenza di genere (già peraltro segnalata in varie pronunce della Corte di Cassazione a Sezioni Unite) e dedica poche righe al profilo del riparto della giurisdizione anche perché adesivo alla declinatoria sul punto pronunciata dal giudice amministrativo, previamente adito.
L’ordinanza dunque si conclude con la disapplicazione del D.M. che stabilisce i termini e le modalità di compilazione della C.I.E., dichiarando che tale atto amministrativo è illegittimo per “manifesto eccesso di potere” ed ordinando al Ministero di provvedere in adesione alla richiesta delle ricorrenti.
Riavvolgendo però, per così dire il nastro degli avvenimenti processuali, la scelta giurisdizionale non convince.
Sullo “sfondo” della tutela di una propria posizione di diritto soggettivo (effettivamente collegata a diritti fondamentali della persona), le due richiedenti, come già rilevato, ma è utile ribadirlo, hanno chiesto il rilascio di una C.I.E. con la registrazione dei dati effettivi e si sono viste opporre un diniego basato su un Decreto Ministeriale comportante le specifiche ostative alla richiesta stessa: siamo quindi nello schema “classico” di un diritto soggettivo che si appaga per il tramite di una attività di diritto amministrativo che, in altri termini, abbisogna della intermediazione di un pubblico Potere.
La conseguenza appare inevitabile in punto giurisdizione: occorre impugnare il D.M. alla base del diniego e richiederne il test di legittimità al giudice amministrativo competente.
In altri e conclusivi concetti: la disapplicazione del giudice ordinario ha logica se avviene incidenter tantum; qui è stata disposta in via principale in quanto l’oggetto “vero” del contendere, il c.d. “bene della vita” per cui si litiga, è individuabile nell’ostacolo del D.M. per il rilascio del documento elettronico di identità con specifiche differenti da quelle decretate.
Ergo la giurisdizione spetta al G. A.
Ha osservato con cristallina chiarezza il Consiglio di Stato (sentenza del 4 novembre 2022 n. 6792):
“L’art. 5 della stessa legge [legge abolitiva del contenzioso, 20 marzo 1865, n. 2248, All. E ] prevede che «in questo, come in ogni altro caso, le autorità giudiziarie applicheranno gli atti amministrativi ed i regolamenti generali e locali in quanto siano conformi alle leggi».
Le norme riportate contemplano due diverse forme di disapplicazione.
La prima forma è di disapplicazione principale e presuppone che l’atto amministrativo sia oggetto di diretta lesione della posizione giuridica fatta valere.
In questi casi, a seguito della creazione della stessa giurisdizione amministrativa, in presenza di un provvedimento che incide negativamente su diritti soggettivi, anche se annullabile, si delinea, normalmente, un rapporto giuridico tra potere pubblico e interesse legittimo oppositivo, con giurisdizione del giudice amministrativo. […]
La seconda forma è di disapplicazione incidentale che si ha quando l’atto amministrativo non costituisce l’oggetto diretto della lesione e viene in rilievo soltanto in via, appunto, incidentale.
Il terreno di elezione di tale forma di disapplicazione è quello relativo alle controversie tra privati in cui, ai fini della loro risoluzione, può assumere valenza pregiudiziale il giudizio di validità di un atto amministrativo.”