Commento a Corte di Cassazione – civile – sez. I – sentenza del 9 agosto 2021
a cura dell’avv. Chiara Galderisi
Redazione di IURA NOVIT CURIA ©
Con la sentenza del 9 agosto 2021, ripresa da una più recente pronuncia (Cass. Civ., sez. I, ord. 03.03.2022, n. 7093), i Giudici di legittimità hanno effettuato un actio finium regundorum dei rapporti tra la “scelta” dell’anonimato espressa dalla madre al momento del parto ed il diritto a conoscere le proprie origini esercitato dal figlio, ormai, maggiorenne.
Una tematica che suscita, a maggior ragione, interesse se si considera il costante sforzo profuso dalla Consulta per evitare che si formino diritti “tiranni” (si pensi alle aggiornate statuizioni della Corte Costituzionale sul caso Ilva, proprio al fine di bilanciare il diritto al lavoro e all’autonomia imprenditoriale con il diritto alla salute).
Sullo sfondo, il best interest del minore, incapace sui generis, meritevole di tutela peculiare in ogni formazione sociale responsabile del suo sviluppo psico-fisicio, a partire dalla famiglia, titolare (come ogni essere umano) a crescere nella piena consapevolezza di “chi è” e delle proprie origini (il pensiero va immediatamente all’intervento della Consulta sulla normativa in materia di attribuzione del cognome di entrambi i genitori, nel precipuo intento di preservare la bi-genitorialità anche a livello identitario).
E’, poi, nota l’equiparazione dello status tra i figli nati dentro e fuori dal matrimonio, così come di quelli adottivi all’interno della famiglia di “intenzione”.
Nel caso di specie, ci si trova, tuttavia, dinnanzi al contrapposto interesse della madre biologica a mantenere l’anonimato. Come evidenzia la S.C., una tutela rivolta alla “scelta” dell’anonimato, piuttosto che al diritto alla riservatezza in sé, al fine di contrastare l’opzione arbotiva, e dunque, indirettamente, un’altra forma di tutela del minore, quando ancora è tale.
La disciplina normativa, peraltro, modificata nel tempo anche per opera della Corte Costituzionale (sentenza n. 278/2013), consente al solo figlio adottivo maggiorenne di chiedere informazioni sui propri genitori naturali a determinate condizioni. Laddove gli stessi abbiano manifestato l’interesse a restare anonimi, infatti, il Tribunale deve avviare un procedimento di interpello ispirato alla massima discrezione e al rispetto della dignità delle persone coinvolte. Un procedimento che nelle intenzioni della Consulta sarebbe dovuto essere disciplinato dal Legislatore e che, tuttavia, ha trovato compiuta definizione tramite le Linee Guida dei Tribunali per i Minorenni (a riprova dell’importanza di siffatto complesso organizzativo).
I Giudici di legittimità hanno, successivamente, chiarito che, nel caso in cui la madre sia deceduta, le informazioni richieste possano essere rilasciate nell’immediato, non potendosi considerare operativo il limite di cento anni dalla formazione del documento imposto dal Codice della Privacy.
Quid iuris, tuttavia, se la madre ancora in vita, non è in grado di esprimere il suo persistente interesse a restare anonima a causa di una incapacità giuridica o anche solo naturale?
Trattasi di un diritto personalissimo che non consente sostituzione al di là delle specifiche ipotesi e tramite i meccanismi previsti per legge (come, per esempio, avviene in materia di D.A.T.), eppure, l’impossibilità di ricostruire la volontà del genitore all’attualità, rischia di pregiudicare la reversibilità della scelta compiuta al momento del parto tanto agognata dal Giudice delle leggi.
Interessanti spunti di riflessione concernono, peraltro, il diritto del figlio naturale ad accedere, quanto meno, alle informazioni concernenti dati genetici. Accesso improntato ai canoni di proporzionalità e ragionevolezza, di ispirazione pubblicistica.
Dato normativo:
Art 30, co 1, D.P.R. 2000, n. 396 – (Dichiarazione di nascita)
“1. La dichiarazione di nascita e’ resa da uno dei genitori, da un procuratore speciale, ovvero dal medico o dalla ostetrica o da altra persona che ha assistito al parto, rispettando l’eventuale volonta’ della madre di non essere nominata”.
Art 28, Legge del 1983,n. 184
“1. Il minore adottato è informato di tale sua condizione ed i genitori adottivi vi provvedono nei modi e termini che essi ritengono più opportuni.
2. Qualunque attestazione di stato civile riferita all’adottato deve essere rilasciata con la sola indicazione del nuovo cognome e con l’esclusione di qualsiasi riferimento alla paternità e alla maternità del minore e dell’annotazione di cui all’articolo 26, comma 4.
3. L’ufficiale di stato civile, l’ufficiale di anagrafe e qualsiasi altro ente pubblico o privato, autorità o pubblico ufficio debbono rifiutarsi di fornire notizie, informazioni, certificazioni, estratti o copie dai quali possa comunque risultare il rapporto di adozione, salvo autorizzazione espressa dell’autorità giudiziaria. Non è necessaria l’autorizzazione qualora la richiesta provenga dall’ufficiale di stato civile, per verificare se sussistano impedimenti matrimoniali.
4. Le informazioni concernenti l’identità dei genitori biologici possono essere fornite ai genitori adottivi, quali esercenti la responsabilità genitoriale, su autorizzazione del tribunale per i minorenni, solo se sussistono gravi e comprovati motivi. Il tribunale accerta che l’informazione sia preceduta e accompagnata da adeguata preparazione e assistenza del minore. Le informazioni possono essere fornite anche al responsabile di una struttura ospedaliera o di un presidio sanitario, ove ricorrano i presupposti della necessità e della urgenza e vi sia grave pericolo per la salute del minore.
5. L’adottato, raggiunta l’età di venticinque anni, può accedere a informazioni che riguardano la sua origine e l’identità dei propri genitori biologici. Può farlo anche raggiunta la maggiore età, se sussistono gravi e comprovati motivi attinenti alla sua salute psico-fisica. L’istanza deve essere presentata al tribunale per i minorenni del luogo di residenza.
6. Il tribunale per i minorenni procede all’audizione delle persone di cui ritenga opportuno l’ascolto; assume tutte le informazioni di carattere sociale e psicologico, al fine di valutare che l’accesso alle notizie di cui al comma 5 non comporti grave turbamento all’equilibrio psico-fisico del richiedente. Definita l’istruttoria, il tribunale per i minorenni autorizza con decreto l’accesso alle notizie richieste.
7. L’accesso alle informazioni non è consentito nei confronti della madre che abbia dichiarato alla nascita di non volere essere nominata ai sensi dell’articolo 30, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396.
8. Fatto salvo quanto previsto dai commi precedenti, l’autorizzazione non è richiesta per l’adottato maggiore di età quando i genitori adottivi sono deceduti o divenuti irreperibili”.
Art 96, Codice della Privacy – (Certificato di assistenza al parto)
“1. Ai fini della dichiarazione di nascita il certificato di assistenza al parto è sempre sostituito da una semplice attestazione contenente i soli dati richiesti nei registri di nascita. Si osservano, altresì, le disposizioni dell’articolo 109.
2. Il certificato di assistenza al parto o la cartella clinica, ove comprensivi dei dati personali che rendono identificabile la madre che abbia dichiarato di non voler essere nominata avvalendosi della facoltà di cui all’articolo 30, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396, possono essere rilasciati in copia integrale a chi vi abbia interesse, in conformità alla legge, decorsi cento anni dalla formazione del documento.
3. Durante il periodo di cui al comma 2 la richiesta di accesso al certificato o alla cartella può essere accolta relativamente ai dati relativi alla madre che abbia dichiarato di non voler essere nominata, osservando le opportune cautele per evitare che quest’ultima sia identificabile”.
Art 8 C.E.D.U. – (Diritto al rispetto della vita privata e familiare, del domicilio e della corrispondenza)
“1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza.
2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui”.
Massime rilevanti:
– Corte Costituzionale n. 278 del 2013
La Corte Costituzionale, con sentenza 18 – 22 novembre 2013, n. 278, ha dichiarato “l’illegittimità costituzionale dell’articolo 28, comma 7, della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Diritto del minore ad una famiglia), nella parte in cui non prevede – attraverso un procedimento, stabilito dalla legge, che assicuri la massima riservatezza – la possibilità per il giudice di interpellare la madre – che abbia dichiarato di non voler essere nominata ai sensi dell’art. 30, comma 1, del d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 (Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile, a norma dell’articolo 2, comma 12, della legge 15 maggio 1997, n. 127) – su richiesta del figlio, ai fini di una eventuale revoca di tale dichiarazione.
– Cassazione, sezione I civile, con la sentenza 9 novembre 2016, n. 22838.
“Il diritto dell’adottato nato da una donna che abbia dichiarato alla nascita di non voler essere nominata – ex art. 30 comma 1 d.p.r. n. 396/2000 – di accedere alle informazioni riguardanti la propria origine e l’identità della madre biologica, può essere concretamente esercitato anche se la stessa sia morta e non sia possibile procedere alla verifica della perdurante attualità della scelta di conservare il segreto.
Il trattamento delle informazioni relative alle proprie origini deve, però, essere eseguito in modo corretto, per evitare un danno all’immagine, alla reputazione, ed ad altri beni di primario rilievo costituzionale di eventuali terzi interessati come i discendenti e familiari”.
– Cass. civ., sez. I, ord. 03.03.2022, n. 7093
“La Suprema Corte ha seguito la via precedentemente adottata, a fronte della quale il diritto all’interpello non può essere attivato nell’ipotesi in cui la madre versi in stato di incapacità, anche non dichiarata, e dunque non sia idonea a revocare validamente la propria scelta (Cass. n. 22497/2021). Nella vicenda in oggetto, la Corte di appello si è conformata ai siffatti presupposti, prendendo atto dell’esito negativo dell’interpello”.
Leggi il testo della sentenza : “La scelta sul segreto è ancora una scelta che riceve tutela dal nostro ordinamento, occorrendo operare il giusto bilanciamento” – – Corte di Cassazione, Sezione Prima Civile – sentenza del 9 agosto 2022 – n. 22497