“La responsabilita’ civile della p.a. per lesione dell’affidamento da atto ampliativo successivamente annullato” – nota a CDS n.3701/21 a cura dell’ avv. Guido Gabriele

image_print

 

Nota a cura dell’ avv. Guido Gabriele

 

 

Premessa: il Consiglio di Stato “risponde” alle Sezioni Unite sull’affidamento del privato.

 

Il Consiglio di Stato, con tre distinte ordinanze[1], ha rimesso alla Adunanza Plenaria, ai sensi dell’art. 99, comma 1, c.p.a., con diverse sfumature, la questione della possibilità di configurare o meno un affidamento incolpevole in capo al privato, nei casi in cui l’amministrazione abbia rilasciato un provvedimento ampliativo successivamente annullato, o in sede giurisdizionale ovvero in esito all’esercizio dei poteri di autotutela decisoria, la cui lesione lasci residuare conseguenze patrimoniali negative.

In particolare, l’ordinanza che si annota pone la predetta questione nella duplice prospettiva del riparto di giurisdizione e della stessa sussistenza, a monte, di una situazione giuridica soggettiva lesa dall’adozione di un provvedimento abilitante illegittimo successivamente cassato dal giudice amministrativo o annullato dalla stessa amministrazione[2].

È evidente che l’ordinanza in esame, in uno con le altre due coeve, costituisce una “reazione” ai principi espressi da Cassazione, Sezioni Unite, con l’ordinanza del 28 aprile 2020, n. 8236[3].

È utile, pertanto, ripercorrere brevemente il percorso argomentativo espresso dalla Corte di Cassazione, per meglio comprendere la presa di posizione del Consiglio di Stato, che richiede adesso “a gran voce” un intervento chiarificatore dell’Adunanza plenaria.

In sostanza, la Corte di Cassazione, nella richiamata pronuncia, porta dichiaratamente a compimento l’orientamento inaugurato dalle Sezioni Unite con le ordinanze “gemelle” nn. 6594, 6595 e 6596 del 2011, con cui il Supremo consesso ha riconosciuto l’esistenza di un pregiudizio risarcibile in capo al privato, che, ottenuto un provvedimento ampliativo dalla p.a., se lo è visto successivamente annullare dal giudice amministrativo ovvero dalla stessa amministrazione in sede di esercizio dei connaturali poteri di autotutela decisoria.

In tali casi, sostiene la Cassazione che può configurarsi un pregiudizio alla libertà di autodeterminazione contrattuale[4], consistente in tutte le spese ovvero nelle chances di impiego diverso delle risorse economiche, in ragione dell’affidamento incolpevole che il privato medesimo ha ragionevolmente riposto nella legittimità del provvedimento ampliativo successivamente annullato.

Nello specifico, il giudice della giurisdizione, nella richiamata pronuncia del 2020, parte dal presupposto secondo cui la responsabilità della p.a., a causa della lesione dell’affidamento, sorge nell’ambito di una situazione relazionale di contatto sociale qualificato[5], laddove il comportamento causativo del danno non si pone, neppure in via mediata, quale modalità di esercizio del potere amministrativo, in quanto, secondo le parole della Corte, “L’affidamento a cui si fa riferimento … è una situazione autonoma, tutelata in sé, e non nel suo collegamento con l’interesse pubblico, come affidamento incolpevole di natura civilistica, che si sostanzia, secondo una felice sintesi dottrinale, nella fiducia, nella delusione della fiducia e nel danno subìto a causa della condotta dettata dalla fiducia mal riposta; si tratta, in sostanza, di un’aspettativa di coerenza e non contraddittorietà del comportamento dell’amministrazione fondata sulla buone fede.”.

In sintesi, la Corte di Cassazione ritiene che il privato debba poter fare affidamento sul complessivo comportamento della p.a., la cui attività è soggetta non solo alle regole di legittimità, ma anche a quelle di buona fede oggettiva, ragionamento, questo, che si estrinseca attraverso una scissione tra regole di validità e regole di comportamento: la violazione delle prime incidono sulla legittimità del provvedimento, la violazione delle seconde comportano una valutazione in termini di responsabilità, ogniqualvolta l’azione amministrativa cagioni un pregiudizio patrimoniale che può conseguire anche all’esercizio legittimo di un’attività provvedimentale.

In applicazione delle suddette coordinate ermeneutiche, la Corte di Cassazione ha sancito la giurisdizione del g.o. in ordine ad una fattispecie di danno da ritardo in materia edilizia, entrambe materie che rientrano, in tesi, nell’alveo della giurisdizione esclusiva del g.a., ai sensi del combinato disposto dell’art. 7 e dell’art. 133, comma 1, lett. a), n. 1 e lett. f) del codice del processo amministrativo; giurisdizione nella specie esclusa per effetto del mancato riscontro di un comportamento riconducibile, anche in via mediata, all’esercizio di un potere amministrativo, proprio in quanto, secondo il ragionamento della Suprema Corte, viene in rilievo un comportamento generatore di responsabilità e non un’attività funzionale foriera di illegittimità.

 

 

Il deferimento alla Adunanza plenaria: la questione della giurisdizione.

 

Sulla base delle descritte premesse, il Consiglio di Stato, nella pronuncia che si annota, pone a serrata critica l’orientamento espresso dal Giudice della giurisdizione, anzitutto con riferimento al problema della individuazione del giudice avente potere giurisdizionale nel caso di specie[6].

In particolare, il Consiglio di Stato si interroga sulla spettanza della giurisdizione in ipotesi in cui il privato faccia valere il diritto al risarcimento del danno per lesione del proprio affidamento incolpevole sulla legittimità di un provvedimento ampliativo successivamente annullato dal giudice amministrativo ovvero dalla stessa amministrazione in autotutela.

La pronuncia, dopo aver ricostruito i diversi orientamenti giurisprudenziali, prende posizione sulla giurisdizione del giudice amministrativo, ritenendo, anzitutto sul piano sostanziale, che non sia ammissibile sdoppiare le situazioni giuridiche soggettive in ragione del rilascio di un provvedimento ampliativo e, quindi, che non si possa ritenere, di conseguenza, che prima del rilascio esista un interesse legittimo pretensivo e, dopo di esso, sussista invece una posizione di diritto soggettivo al mantenimento del provvedimento o, meglio, del suo effetto di incremento della sfera giuridico – patrimoniale del richiedente.

In particolare, il dictum in esame precisa che: “L’interesse legittimo pretensivo esprime, ad un tempo, sia l’interesse sostanziale rappresentato dalla pretesa ad ottenere un ‘bene della vita’, sia l’interesse procedimentale per cui il provvedimento finale sia emanato seguendo il procedimento previsto dalla legge.

Può risultare dunque artificioso il sovrapporre a una tale posizione giuridica soggettiva – riferibile ad un rapporto di diritto pubblico tra il richiedente e l’Amministrazione – una diversa situazione sostanziale (da richiamare per individuare una ‘diversa’ giurisdizione), basata sul principio del neminem laedere (il cui ambito di efficacia prescinde dalla esistenza di un preesistente rapporto tra danneggiante e danneggiato) o anche su un ‘contatto sociale’ (categoria che può giustificare nell’ambito della giurisdizione civile la soluzione secondo giustizia di determinate tipologie di controversie senza alterare i criteri di riparto della giurisdizione, ma che di per sé è incongruamente richiamata quando si tratti dell’esercizio o del mancato esercizio del pubblico potere, come ha chiaramente evidenziato anche la citata sentenza n. 7 del 2021 dell’Adunanza Plenaria).[7].

In estrema sintesi, ritiene il Consiglio di Stato che: “Allorquando sia stato annullato l’atto abilitativo e dunque non sia più configurabile il diritto ad esso conseguente, l’originario richiedente torna ad essere titolare di un interesse legittimo.[8].

Inoltre, la pronuncia in esergo espressamente ritiene ancora che: “il principio secondo cui la violazione delle regole di condotta non è causa di invalidità dell’atto, bensì fonte di responsabilità civile, non solo non risulta decisiva nel senso dell’affermazione della giurisdizione del giudice civile, ma costituisce, anzi, un argomento erroneamente utilizzato rispetto alla problematica del riparto di giurisdizione, per almeno due ordini di ragioni.

In primo luogo, il criterio del riparto è fondato sulla situazione soggettiva, e non sui principi di diritto o sulle regole di condotta (la tutela dell’affidamento, sia nella tradizione giuridica romanistica, sia in quella europea, sia in quella interna civilistica, rappresenta un principio generale del diritto e, guardato dall’angolo prospettico delle regole di condotta, esprime la reazione al tradimento della fiducia malriposta, ma non costituisce di per sé un’autonoma situazione soggettiva: anche per la più recente giurisprudenza della Cassazione il diritto alla conservazione del patrimonio non è un vero e proprio ‘diritto’, bensì un’espressione sintetica per esprimere il concetto, descrittivo d’insieme, dell’appartenenza ad un soggetto di una certa posizione giuridica).

La tutela dell’affidamento costituisce un ‘principio’, piuttosto che una ‘situazione soggettiva’, che consente di valutare il comportamento delle parti che entrano in relazione tra di loro e se vi sia stata la violazione di un legittimo affidamento che dà luogo ad un comportamento antigiuridico e alla conseguente responsabilità.

In secondo luogo, la condanna al risarcimento del danno – come si è già evidenziato – costituisce una ‘tecnica di tutela’ della posizione giuridica soggettiva, e non un’ulteriore ‘materia’ da ripartire.[9].

In ragione di ciò, l’ordinanza in esame, nel rimettere la questione di giurisdizione alla plenaria, prende, dunque, decisamente posizione per la giurisdizione del giudice amministrativo nelle cause di risarcimento del danno da lesione dell’affidamento incolpevole derivante dal legittimo annullamento di un precedente atto ampliativo, operato dal giudice amministrativo ovvero dalla stessa amministrazione nell’esercizio della funzione di riesame.

 

 

Il deferimento alla Adunanza plenaria: la questione dell’affidamento incolpevole.

 

Ciò posto in punto di giurisdizione, il Consiglio di Stato nella pronuncia sezionale in esame deferisce alla Adunanza plenaria anche la questione di merito, attinente alla sussistenza o meno di un affidamento incolpevole risarcibile in ipotesi di annullamento legittimo dell’atto ampliativo, ad opera del giudice amministrativo ovvero della p.a. in sede di autotutela.

Tendenzialmente, la Quarta Sezione del Consiglio di Stato, nel rimettere la questione alla Plenaria, prende posizione per l’esclusione della stessa configurabilità in astratto di un affidamento incolpevole del privato derivante dal rilascio di un provvedimento poi dichiarato illegittimo e conseguenzialmente annullato dal giudice amministrativo, quale giudice naturale della funzione amministrativa, ovvero dalla stessa amministrazione nell’esercizio dei poteri di autotutela.

Con riferimento ai poteri di autotutela, osserva il Consiglio di Stato: “Allorquando si tratti dell’annullamento in sede di autotutela di un provvedimento risultato illegittimo, è dunque ben difficile innanzitutto ravvisare un affidamento ‘incolpevole’, quando l’illegittimità era riscontrabile dal suo stesso beneficiario.[10] e precisa ancora che: “In sostanza, non può che affermarsi la sussistenza di un principio di non contraddizione, per il quale l’Amministrazione – qualora abbia riscontrato di avere emanato un provvedimento illegittimo –non può essere posta nella asistematica alternativa di annullare tale provvedimento e di dovere risarcire il danno al beneficiario dell’atto illegittimo, oppure di non annullare affatto il provvedimento, per evitare la proposizione della domanda risarcitoria.[11]

Qualora sia proposta azione di annullamento avverso l’atto ampliativo, la pronuncia che si annota parte dal presupposto secondo cui: “Quando invece avverso l’atto abilitativo è proposto un ricorso al giudice amministrativo da parte di chi vi abbia interesse, la sentenza di annullamento non può tenere conto di un ‘legittimo affidamento’, rilevando il vizio dell’atto annullato.[12], precisando ulteriormente che: “Sotto tale profilo, può risultare condivisibile la deduzione difensiva del Comune appellante, secondo cui chi esegue un provvedimento – che sia stato tempestivamente impugnato – lo fa ‘a suo rischio e pericolo’.

Non sembra infatti che possa sussistere un ‘legittimo affidamento’, da porre a base di una domanda risarcitoria nei confronti dell’Amministrazione, quando il beneficiario dell’atto – avvertito della possibilità che questo sia annullato – ritenga di effettuare spese, che ragioni di prudenza potrebbero indurre ad evitare.

Si può ritenere, in tal caso, che vi sia una ‘scelta consapevole’ di dare esecuzione ad un atto, malgrado sia stata tempestivamente dedotta la sua illegittimità, poi rilevata dal giudice.

Una tale ‘scelta consapevole’ non può che risultare decisiva anche per escludere sotto il profilo causale la riferibilità del danno all’Amministrazione.[13].

In sintesi, il Giudice amministrativo ritiene in linea di principio (e questo è un punto qualificante) inconfigurabile un affidamento incolpevole del privato in ipotesi di rilascio di un provvedimento ampliativo rivelatosi illegittimo e di conseguenza annullato, basandosi altresì sul principio di autoresponsabilità, che porta a porre a carico del richiedente le conseguenze di quell’annullamento: come a dire, è lo stesso richiedente che dà causa all’annullamento con la sua istanza a dover sopportare il peso delle conseguenze e, se del caso, egli potrà rivalersi in via contrattuale nei confronti del progettista che ha predisposto elaborati tecnici manchevoli; in sostanza, è il privato che dà causa all’illegittimità del provvedimento, e ciò si riscontra in linea generale, a prescindere quindi dalla sussistenza nel caso di specie di comportamenti decettivi o meno del privato stesso e, pertanto, già sul piano eziologico, secondo il Consiglio di Stato, è da escludere una responsabilità della pubblica amministrazione per aver rilasciato un provvedimento illegittimo sulla cui base fondare un affidamento incolpevole, la cui lesione possa dar luogo a conseguenze risarcibili.

 

Osservazioni critiche.

 

1.   Sulla questione di giurisdizione.

 

In premessa, non si può non rilevare il disagio del Consiglio di Stato al cospetto del recente orientamento della Corte di Cassazione in ordine alle questioni di giurisdizione per lesioni di diritti soggettivi conseguenti a comportamenti contrari a buona fede dell’amministrazione in ambiti riservati alla giurisdizione amministrativa esclusiva.

Sintomo preciso di tale disagio è la devoluzione della questione di giurisdizione all’Adunanza Plenaria, nonostante sul punto sia stata ben chiara la presa di posizione del Giudice della giurisdizione, su cui alcuna influenza può sortire un diverso avviso del giudice amministrativo, seppur espresso in forma apicale.

È agevole osservare che sono proprio le questioni come quelle in esame che imporrebbero la creazione, tante volte proclamata, di un Tribunale dei conflitti a composizione mista, sul modello francese, che affronti e risolva in maniera coordinata e condivisa le questioni di giurisdizione, soprattutto in un sistema, quale quello italiano, caratterizzato da regole di riparto fondato non sulla materia, ma sulla situazione giuridica soggettiva azionata, secondo il collaudato modello del petitum sostanziale.

Si consideri inoltre che la creazione di un Tribunale dei conflitti appare ancora più urgente in considerazione dell’idea di fondo che oggi qualifica la giustizia come risorsa limitata, che richiede risposte affidabili, cioè di un concetto per certi versi nuovo di giustizia, che sposta il baricentro dalla funzione al servizio pubblico, un sistema, dunque, che mal sopporta gli atteggiamenti ondivaghi ovvero i “regolamenti di conti” tra distinti plessi giurisdizionali, le cui incertezze ed aporie si riflettono sul cittadino.

Ciò posto, va subito detto che sono ampiamente condivisibili le osservazioni che il Consiglio di Stato opera al fine di ritenere che nel caso di annullamento legittimo dell’atto ampliativo le conseguenti questioni risarcitorie siano in ogni caso devolute alla cognizione del giudice amministrativo, in quanto non può ragionevolmente ritenersi che per esse non rilevino questioni attinenti all’esercizio o al mancato esercizio del potere amministrativo.

Anzitutto, rileva la pregnanza del dato normativo e, segnatamente, delle previsioni di cui all’art. 7 e all’art. 133 del c.p.a., che devolvono alla cognizione del giudice amministrativo tutte le questioni che ineriscono all’esercizio o al mancato esercizio del potere amministrativo, nelle quali, a rigore, non possono non rientrare anche i casi in esame, in cui si discute di annullamento di un atto ampliativo, cioè di questioni che risultano, sotto il profilo dell’esercizio del potere, del tutto simmetriche rispetto ai dinieghi di atti ampliativi, che, pacificamente, sono attratti alla giurisdizione amministrativa, anche per quanto riguarda i profili risarcitori, che attengono, peraltro, alle tecniche di tutela, senza individuare una nuova “materia”.

Si registrano poi numerose pronunce del Consiglio di Stato che, in seguito all’arresto della Corte di Cassazione di cui all’ordinanza n. 8236/2020, hanno stigmatizzato la devoluzione al giudice ordinario delle questioni risarcitorie fondata sulla scissione tra regole di validità e regole di comportamento[14], che comporta, sul versante processuale, l’individuazione di una duplice causa petendi attinente ad un medesimo rapporto giuridico amministrativo.

Sul punto, la pronuncia in esame osserva peraltro che detta scissione, se può rilevare in termini di costruzione contenutistica della responsabilità della p.a.[15], non può costituire un valido criterio di riparto della giurisdizione, affermando in particolare che: “atteso che l’ordinamento attribuisce, in ossequio al principio di effettività e pienezza della tutela giurisdizionale, alla cognizione del giudice amministrativo tutti gli strumenti processuali idonei a tutelare la posizione lesa dall’esercizio dei pubblici poteri di cui è titolare l’amministrazione e che la circostanza che il danno non sia direttamente cagionato dal provvedimento, ma derivi dal suo annullamento, attiene soltanto al piano cronologico e non, per contro, a quello logico ed eziologico, stante la riconducibilità diretta del pregiudizio al provvedimento amministrativo.[16].

 

 

2.   Sulla questione dell’affidamento “sempre colpevole” del privato.

 

Lascia invece perplessa la presa di posizione del Consiglio di Stato sulla possibilità o meno di riconoscere l’esistenza di un affidamento incolpevole del privato di fronte ad un annullamento di un precedente atto ampliativo.

Le perplessità si affiggono anzitutto sul metodo: il Consiglio di Stato attesta una pregiudiziale esclusione della possibilità di qualsivoglia affidamento del privato in ordine al mantenimento dell’effetto ampliativo generato dal provvedimento successivamente annullato; in altre parole, anziché incedere in modo graduale, attraverso un approccio casistico, il giudice amministrativo nella pronuncia emarginata si assesta su una posizione di rigida esclusione della stessa configurabilità a monte di un affidamento incolpevole del privato generato dal rilascio di un provvedimento ampliativo illegittimo e successivamente annullato e, pertanto, esclude aprioristicamente che dal ritiro o dall’annullamento di detto provvedimento possano scaturire conseguenze risarcibili.

Sorge, pertanto, la figura del provvedimento ampliativo che si esegue “a rischio e pericolo” dell’interessato: “Non sembra infatti che possa sussistere un ‘legittimo affidamento’, da porre a base di una domanda risarcitoria nei confronti dell’Amministrazione, quando il beneficiario dell’atto – avvertito della possibilità che questo sia annullato – ritenga di effettuare spese, che ragioni di prudenza potrebbero indurre ad evitare.

In altre parole, nel caso in cui l’atto ampliativo venga impugnato, esso resta sospeso in via di fatto sino al passaggio in giudicato della sentenza che si pronuncia sulla domanda di annullamento, altrimenti le conseguenze derivanti dal suo annullamento graveranno per intero sul privato istante, in base ad un malinteso principio di autoresponsabilità.

Ora, se è evidente che il privato non possa vantare affidamenti nei casi in cui abbia proposto istanze infedeli, negli altri casi si trascura completamente il versante dell’amministrazione. Si vuol dire che, presentata un’istanza, l’amministrazione, che peraltro è un operatore qualificato e non un quisque de populo, procede alla sua valutazione e il privato, dal canto suo, ben potrebbe accampare un affidamento sulla decisione amministrativa favorevole, che non sia stata indotta da suoi comportamenti colpevoli; escluderlo in radice si risolve in una petizione di principio che ha come ulteriore effetto quello di deresponsabilizzare l’amministrazione decidente attraverso un atteggiamento paternalistico che non ha più ragion d’essere.

Diversamente, l’amministrazione va reputata come un operatore particolarmente qualificato, i cui funzionari sono selezionati per concorso pubblico, e pertanto appare come un fuor d’opera ritenere che a fronte di ciò l’amministrazione non abbia a subire le conseguenze dovute all’adozione di un atto illegittimo, compensando il privato dai pregiudizi sofferti per effetto del rilascio del provvedimento ampliativo poi annullato che abbia cagionato la lesione del suo affidamento.

Ragionando in tal modo, il Consiglio di Stato, con l’aprioristica esclusione di qualsiasi conseguenza giuridicamente rilevante derivante dall’adozione dell’atto illegittimo, realizza peraltro quell’arretramento nell’esercizio della propria giurisdizione già tante volte stigmatizzato dalla Corte di Cassazione come questione di giurisdizione nell’ambito dell’esercizio di quel sindacato dinamico, cioè attinente alle forme di tutela erogabili, poi ritenuto non compatibile con la Costituzione dalla Corte costituzionale[17].

D’altronde il Consiglio di Stato afferma espressamente che il privato è titolare solo di un interesse legittimo pretensivo, e che l’annullamento del provvedimento ampliativo lo fa ritornare nella titolarità della posizione iniziale (peraltro oramai irrealizzabile), senza che possa accostarsi a tale interesse legittimo una diversa posizione giuridica di diritto soggettivo, che peraltro avrebbe effetti anche sul riparto di giurisdizione.

Anche sotto tale profilo, tuttavia, non può non rilevarsi come nulla escluda che possano coesistere posizioni di interesse legittimo e di diritto soggettivo nell’ambito di un medesimo rapporto giuridico amministrativo.

Inoltre, il ragionamento della Quarta sezione rappresenta anche un passo indietro rispetto alla progressiva erosione delle “sacche” di irresponsabilità dell’azione amministrativa, il cui debellamento ha costituito il preambolo della sentenza delle Sezioni Unite n. 500/99, che ha dedotto come l’irrisarcibilità dell’interesse legittimo costituisca “un’isola di immunità e privilegio che mal si concilia con le più elementari esigenze di giustizia[18].

L’ordinanza in esame sembra costituire un passo indietro nella tutela del privato di fronte all’azione illegittima del p.a., ovvero dell’azione caratterizzata da violazione degli obblighi di salvaguardia connotanti la buona fede oggettiva, oggi espressamente riconosciuta quale principio generale dell’azione amministrativa[19].

Su queste premesse, si attende, doverosamente, il responso del Supremo Consesso di giustizia amministrativa.

 

Leggi l’ordinanza Consiglio di Stato – sez.IV – ordinanza dell’11 maggio 2021 – n. 3701

 


[1] Oltre al provvedimento che si annota, si tratta di Consiglio di Stato, II Sezione, ordinanza del 9 marzo 2021, nr. 2013 e di Consiglio di Stato, II Sezione, ordinanza del 6 aprile 2021, n. 2753, che hanno rimesso all’Adunanza plenaria, rispettivamente, le seguenti questioni: “a) se sia ammissibile un motivo d’impugnazione volto a contestare la giurisdizione del giudice amministrativo, formulato dalla parte che aveva introdotto il giudizio dinanzi al Tribunale amministrativo regionale, soprattutto quando il giudizio è stato introdotto in un contesto ordinamentale e giurisprudenziale completamente diverso da quello attuale; b) se il giudice possa comunque affrontare la questione della giurisdizione in generale, anche in caso di una declaratoria d’inammissibilità, dato che una cosa è l’effetto dell’esame della questione, altra è la questione in senso lato; c) in caso positivo, se sussista la giurisdizione del giudice amministrativo a conoscere una domanda del privato diretta ad ottenere la condanna della pubblica amministrazione al risarcimento dei danni subiti a seguito dell’annullamento in sede giurisdizionale di un provvedimento amministrativo ‒ emanato dalla medesima amministrazione ‒ favorevole all’interessato e, in particolare, di un titolo edilizio esplicito o implicito; d) se l’interessato ‒ a prescindere dalle valutazioni circa la sussistenza in concreto della colpa della pubblica amministrazione, del danno in capo al privato e del nesso causale tra l’annullamento e la lesione ‒ possa in astratto vantare un legittimo e qualificato affidamento sul provvedimento amministrativo annullato, idoneo a fondare un’azione risarcitoria nei confronti della pubblica amministrazione; e) in caso positivo, in presenza di quali condizioni ed entro quali limiti può riconoscersi al privato un diritto al risarcimento per lesione dell’affidamento incolpevole.”;

a) se l’interessato ‒ a prescindere dalle valutazioni circa la sussistenza in concreto della colpa della pubblica amministrazione, del danno in capo al privato e del nesso causale tra l’annullamento e la lesione ‒ possa in astratto vantare un legittimo e qualificato affidamento su un favorevole provvedimento amministrativo annullato in sede giurisdizionale, idoneo a fondare un’azione risarcitoria nei confronti della pubblica amministrazione;

b) in caso positivo, in presenza di quali condizioni ed entro quali limiti può riconoscersi al privato un diritto al risarcimento per lesione dell’affidamento incolpevole, con particolare riferimento all’ipotesi di aggiudicazione definitiva di appalto di lavori, servizi o forniture, successivamente revocata a seguito di una pronuncia giudiziale.

[2] In particolare, Consiglio di Stato n. 3701/2021 in esame rimette alla Plenaria le seguenti questioni: “a) se sussista la giurisdizione amministrativa sulla domanda volta ad ottenere il risarcimento del danno, formulata dall’avente causa del destinatario di una variante urbanistica, quando entrambi siano risultati soccombenti in un giudizio amministrativo, proposto dal vicino, all’esito del quale sia stata annullata per vizi propri la medesima variante e siano stati annullati per illegittimità derivata i conseguenti permessi di costruire – e, più in generale, se sussista sempre la giurisdizione amministrativa quando – su domanda del ricorrente vittorioso o su domanda del controinteressato soccombente (che proponga un ricorso incidentale condizionato o un ricorso autonomo) – si debba verificare se il vizio di un provvedimento autoritativo, oltre a comportare il suo annullamento, abbia conseguenze sul piano risarcitorio);

b) qualora sussista la giurisdizione amministrativa sulla domanda sub a) del controinteressato soccombente, quando sia giuridicamente configurabile un affidamento ‘incolpevole’ che possa essere posto a base di una domanda risarcitoria, anche in relazione al fattore ‘tempo’;

c) qualora sussista la giurisdizione amministrativa e quand’anche si sia in presenza di un affidamento ‘incolpevole’ del controinteressato soccombente, quando si possa escludere la rimproverabilità dell’Amministrazione.”.

 

[3] Si segnala che l’orientamento espresso da Cassazione, Sezioni Unite, ord. n. 8236/2020, è stato successivamente confermato dalle stesse Sezioni unite con l’ordinanza n. 615 del 15 gennaio 2021 e con la sentenza n. 12428 del 11 maggio 2021 e che, pertanto, detto orientamento va consolidandosi nella giurisprudenza del giudice della giurisdizione.

[4] In tal senso, la Cassazione corregge il tiro rispetto all’orientamento inaugurato nel 2011, che, invece, parlata di lesione all’integrità del patrimonio, messa in discussione nei recenti arresti sulla base della considerazione che il riferimento al patrimonio risulta neutro e non qualificante, in considerazione del fatto che esso rappresenta una mera espressione di sintesi delle posizioni giuridiche soggettive nella titolarità di un certo soggetto.

[5] Si rileva che sul tema della natura giuridica della responsabilità civile dell’amministrazione per illegittimo esercizio della funzione amministrativo è recentemente intervenuta l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, che ha ribadito l’orientamento che inquadra detta responsabilità negli stilemi di quella extracontrattuale, formulando il seguente principio di diritto: “la responsabilità della pubblica amministrazione per lesione di interessi legittimi, sia da illegittimità provvedimentale sia da inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento, ha natura di responsabilità da fatto illecito aquiliano e non già di responsabilità da inadempimento contrattuale; è pertanto necessario accertare che vi sia stata la lesione di un bene della vita, mentre per la quantificazione delle conseguenze risarcibili si applicano, in virtù dell’art. 2056 cod. civ. –da ritenere espressione di un principio generale dell’ordinamento- i criteri limitativi della consequenzialità immediata e diretta e dell’evitabilità con l’ordinaria diligenza del danneggiato, di cui agli artt. 1223 e 1227 cod. civ.; e non anche il criterio della prevedibilità del danno previsto dall’art. 1225 cod. civ.” (Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, sentenza del 23 aprile 2021, n. 7).

[6] In sostanza, il Consiglio di Stato, nella pronuncia in esame, si trova ad affrontare la questione inerente alla domanda risarcitoria promossa dal titolare di alcuni permessi di costruire, rilasciati sulla base di una variante urbanistica successivamente dichiarata illegittima ed annullata dal giudice amministrativo in un giudizio in cui il titolare medesimo aveva partecipato in veste di controinteressato e che, pertanto, l’aveva visto soccombente insieme all’amministrazione.

[7] Consiglio di Stato, IV Sezione, ord. n. 3701/2021, punto 28.1.

[8] Consiglio di Stato, IV Sezione, ord. n. 3701/2021, punto 28.3.

[9] Consiglio di Stato, IV Sezione, ord. n. 3701/2021, punto 30.2.

[10] Consiglio di Stato, IV Sezione, ord. n. 3701/2021, punto 33.5.

[11] Consiglio di Stato, IV Sezione, ord. n. 3701/2021, punto 33.5.

[12] Consiglio di Stato, IV Sezione, ord. n. 3701/2021, punto 33.2.

[13] Consiglio di Stato, IV Sezione, ord. n. 3701/2021, punto 33.3.

[14] Significativa sul punto è Consiglio di Stato, VI Sezione, sentenza del 19 gennaio 2021, n. 584 che osserva quanto segue: Altra riflessione va svolta in relazione al binomio: regole di validità e regole di comportamento (sulla cui distinzione Cass., Sez. Un., 19 dicembre 2007, n. 26725), per comprendere se la regola che stabilisce il termine entro il quale deve essere adottato il provvedimento sanzionatorio vada ricondotta nel primo o nel secondo gruppo.

La distinzione tra regole di validità e regole di comportamento si sviluppa nel diritto civile in relazione all’interpretazione dell’art. 1337 c.c. e dell’oscillazione tra il rimedio risarcitorio di cui al successivo art. 1338 c.c. e il rimedio invalidante sub specie di annullamento per vizio del consenso. Già all’interno della riflessione civilistica la relazione tra le dette regole è stata apprezzata non in termini di alternatività in astratto ovvero di non interferenza, quanto di verifica in concreto della portata della violazione del precetto di buona fede, ritenendosi che quest’ultima potesse essere limitata al fatto ovvero avere forza penetrante tale da colorare di antigiuridicità il regolamento contrattuale con ciò che ne consegue in termini di accesso alla tutela rimediale di annullamento nei casi previsti dalla legge o di nullità.

La trasposizione delle nozioni in questione nell’ambito del diritto amministrativo comporta una minore difficoltà, atteso che il legislatore ha da sempre ammesso il rimedio generale dell’annullamento per violazione di legge ed eccesso di potere, figure all’interno delle quali può essere pacificamente ricondotta la violazione di quelle regole comportamentali, che scandiscono l’agire dell’amministrazione.

Il ragionamento nel diritto amministrativo è, se vogliamo, rovesciato, nel senso che un atto amministrativo si presenta in genere come illegittimo e meritevole di annullamento per violazione delle regole di condotta dell’amministrazione, ossia dei principi generali che ne ispirano l’operare, ivi incluso il principio di buona fede.

Quest’ultimo del resto ai sensi del comma 2-bis dell’art. 1, l. 241/1990, introdotto dal d.l. 76/2020, deve improntare i rapporti tra cittadino e pubblica amministrazione, unitamente al dovere di collaborazione. In via residuale il provvedimento amministrativo può essere legittimo, nonostante l’amministrazione abbia violato delle regole di comportamento e ciò, però, può generare un danno illecito che deve essere rimediato per equivalente.

L’ipotesi tipica è quella del danno da ritardo per provvedimento amministrativo favorevole.

Si tratta sempre di un esercizio illegittimo della discrezionalità amministrativa, ma che non prevede per il suo destinatario una tutela giurisdizionale che passa per la caducazione del provvedimento.

Questa conclusione potrebbe portare anche ad un ripensamento di quanto statuito dall’Adunanza Plenaria n. 5/2018, secondo la quale la buona fede sarebbe una regola di diritto privato, che ha ad oggetto il comportamento e genera sempre soltanto una responsabilità per la condotta tenuta.

Il legislatore con la novella del 2020 ha, infatti, inteso colmare espressamente l’assenza del riferimento alla buona fede nella disciplina generale sul procedimento, sicché l’agire pubblicistico dell’amministrazione risulta interamente normato da regole di diritto pubblico, che scandiscono a tutto tondo la relazione tra potestà e interesse legittimo.”.

Cade, quindi, per la relazione pubblicistica tra amministrazione e amministrato, la necessaria qualificazione: regole di condotta di diritto privato e regole di validità di diritto pubblico, il che dovrebbe condurre anche ad un ripensamento sulla correttezza dell’orientamento della Suprema Corte in tema di giurisdizione sulle controversie in tema di responsabilità dell’amministrazione da provvedimento favorevole poi annullato in via giurisdizionale o per autotutela (cfr. Cass. civ., sez. un., ordinanze “gemelle” 23 maggio 2011, nn. 6594, 6595, 6596; Cass. civ., sez. un., 22 gennaio 2015, n. 1162 e Cass. civ., sez. un., 4 settembre 2015, n. 17586).”.

[15] In tal senso va letto il riferimento alla dicotomia regole di validità/regole di comportamento rintracciabile in Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, n. 5/2018, che lo ha espresso per dare contenuto alla responsabilità precontrattuale dell’amministrazione, e non certo per esprimere regole spendibili in tema di riparto della giurisdizione.

[16] Consiglio di Stato, IV Sezione, ord. n. 3701/2021, punto 29, che riporta quanto statuito da Consiglio di Stato, II Sezione, ordinanza del 9 marzo 2021, n. 2013, che deferisce alla plenaria le medesime questioni di cui al dictum in esame.

[17] Cfr. Corte costituzionale, sentenza del 18 gennaio 2018, n. 6.

[18] Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civili, sentenza del 22 luglio 1999, n. 500.

[19] L’art. 1, comma 2 bis, L. n. 241/90, come inserito dall’art. 12, comma 1, lett. oa) del D.L. n. 76/2020, convertito con modificazione in L. n. 120/2020, espressamente dispone che: “I rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione sono improntati ai principi della collaborazione e della buona fede.”.Le